lunedì 27 ottobre 2008

A scuola di dizione

Budande (mutande), cannocchiera (canottiera), canze (calze), fenpa (felpa), giumbotto (giubbotto)... Tutte le mattine, Don Kija (classe settembre 2005, ovvero 3 anni appena compiuti), mentre si veste da solo elenca i capi di abbigliamento: è un rito che lo aiuta a non dimenticare pezzi oppure a non indossarne di doppi. E' già successo alcuni mesi fa, quando è andato a scuola con doppio paia di mutande e le maestre, ovviamente mi hanno chiesto spiegazioni.
Essenso il secondo fratello, Don Kija raramente ha inventato parole per dire le cose, molto spesso però l'uso di vocali e consonanti è personalizzato. Nel suo caso è un trionfo delle "n" e una assoluta negazione della "r". Certo, a volta per capire le sue frasi è necessario il traduttore: ne è un esempio il classico tormentone che ormai da oltre un anno ripete prima di addormentarsi: "Dotto pittolo d'aqua e poi nommo" (=Un goccio piccolo d'acqua e poi dormo).

Anche per Tete (classe gennaio 2004, ovvero quasi 5 anni) la "r" è sempre stata un vero problema e da qualche mese - dopo che la mamma gli ha fatto fare qualche esercizio propedeutico - si sta davvero sforzando di inserirla, forzandola un pochettino. Lui però, quando era più piccolo, di parole ne ha inventate davvero tante. Una per tutte... totonci=computer.

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